LENIRE IL DOLORE ATTRAVERSO IL DOLORE: IL CUTTING

Introduzione
Sempre più frequente, e non solo tra gli adolescenti, sta diventando questa pratica denominata “cutting”. Letteralmente significa “tagliarsi” ma utilizzerò questo termine per indicare, più generalmente, ogni tipo di ferita che viene praticata sul proprio corpo in momenti di profonda sofferenza. Le lesioni vengono praticate in modo più o meno superficiale con l’ausilio di strumenti che possono essere lamette, taglierini, coltellini ma anche le stesse unghie delle mani. Qualsiasi arnese serva allo scopo di procurarsi delle ferite.

PERCHÈ LA SCELTA DI FERIRE IL CORPO?
Per esperienza personale, molte delle persone che praticano questa forma di autolesionismo non hanno lo scopo di ferirsi per togliersi la vita, ma non è possibile affermare che tutte le persone che si feriscono non desiderano anche di tentare il suicidio. Auto-procurarsi delle ferite è una pratica che può avere tantissimi significati, molti dei quali sono legati alla storia personale di ognuno. Provando però a ragionare per elementi che accomunano spesso la pratica del cutting, possiamo mettere in evidenza alcuni aspetti che fanno “scegliere” di autoinfliggersi del dolore:

– USARE IL CORPO PER GESTIRE UNA SOFFERENZA: spesso procurarsi del dolore fisico è estremamente legato ad un’impossibilità di mettere in parole il profondo dolore che si sta attraversando.

Rossi Monti e D’Agostino (2009) parlano della funzione del taglio come tentativo di trasformare un dolore informe e ignoto e, quindi, incontrollabile, in qualcosa di concreto e dunque controllabile. Alcune persone sono molto attente a ferirsi in punti che poi non saranno visti dagli altri (ad esempio le scapole), mentre altri si feriscono in “zone limite” (come ad esempio sul braccio in punti che spesso sono coperti solo per metà dagli abiti) come volessero più o meno consapevolmente attirare l’attenzione sul loro dolore per poter ricevere aiuto.

– FERIRSI PER PUNIRSI: gli attacchi verso il proprio corpo spesso risultano legati ad un’impossibilità di gestire in altro modo le cosiddette emozioni “negative” (come ad esempio la tristezza, la paura …). Questa capacità si apprende nelle prime relazioni di accudimento, dove chi si prende cura del bambino accompagna via via il piccolo a riconoscere queste emozioni e a gestirle. Come sottolinea Comelli (2014) le emozioni negative devono trovare i loro “adeguati contenitori” (p. 51) per essere metabolizzate, pensate, verbalizzate e trasformate.
Ma se tutto questo non è stato possibile, la persona non possiede gli strumenti per gestire i vissuti dolorosi e, pertanto, li gestisce attraverso l’uso del corpo.
Strettamente connesso all’incapacità di metabolizzare le emozioni più spiacevoli è il senso di colpa nel provare queste emozioni; come se lo stare male (ma più che altro l’incapacità di fronteggiare il vissuto dello stare male) fosse dipeso da sé. Ecco così che ci si ferisce per punirsi di questa incapacità.

– TAGLIARSI PER SENTIRSI: a volte il dolore è talmente informe e incomprensibile che la persona si può vivere schiacciata da esso, come se sentisse di non “riuscire a provare più niente”.
Il profondo senso di tristezza può essere così pervasivo che ferirsi diventa l’unico modo per sentire ancora qualcosa: percepire il dolore, dunque, diventa meglio che avere la sensazione di non sentire più niente.
Dopotutto, come Winnicott sottolineava (1996), il bambino sviluppa il proprio mondo mentale in primis attraverso le esperienze corporali. Esse sono vissute grazie alla relazione con la mamma che nutre e che consente al bambino di fare esperienza del mondo.
Nel caso dell’autolesionismo il corpo torna ad essere l’unico “strumento” per sentire di esistere, ed il dolore fisico l’unica sensazione che sia possibile provare.

IL CUTTING UN FENOMENO PRESENTE IN ADOLESCENZA MA NON SOLO!
Il fenomeno dell’autolesionismo corporeo, del provocarsi delle ferite, è qualcosa che spesso viene associato agli adolescenti ma che sempre più sta emergendo anche negli adulti.

Il cutting spesso è presente come forma sintomatica negli adolescenti perché, come ci ricordano Maggiolini e Pietropolli Charmet (2008), il corpo che si trasforma è spesso il terreno di ogni battaglia identitaria dei ragazzi: attraverso la cura, o l’attacco ad esso, reagiscono e agiscono di fronte alle sfide che il loro percorso di crescita comporta.

Perché il fenomeno non riguarda solo i ragazzi ma anche gli adulti e i giovani adulti?
Perché l’uso del corpo come strumento di gestione del mondo emotivo è indice di una difficoltà nel “manipolare” i propri sentimenti ed il proprio mondo interiore; e questa difficoltà può essere presente durante tutto l’arco di vita.
La buona notizia è che la capacità di ascoltare se stessi e di gestire le proprie emozioni è qualcosa che si può sviluppare e potenziare sempre!
Ma come? Vediamolo insieme!

SMETTERE DI FERIRSI: COME PRENDERSI CURA DI SÉ
In ambito psicoanalitico, moltissimi sono gli autori che sottolineano il ruolo fondamentale della relazione tra il bambino e chi gli fornisce il primario accudimento (Freud 1917-23, Lacan 1966, Winnicott 1992, Albasi 2005, Lemma 2011). Ampliando un po’ la prospettiva, le interazioni primarie che ognuno di noi vive sono importantissime perché ci permettono di costruire dei prototipi delle relazioni che ci accompagneranno per tutta la vita e perché ci permettono di costruire noi stessi e la nostra vita mentale.
La capacità di entrare a contatto con il nostro mondo emotivo è preziosa, proprio per poterlo vivere attivamente e non subirlo. Subirlo significa sentire di non avere gli strumenti per accogliere le emozioni, verbalizzarle ed accettarle ritrovandosi a vivere sul proprio corpo tutti quei vissuti emotivi che non trovano altro sbocco: e così di fronte ad un profondo dolore ci si taglia, perché questo è l’unico modo che si conosce per poter gestire quel dolore.

Come si impara ad entrare a contatto con il proprio mondo interiore?

– Facendo esercizio di ascolto verso se stessi, chiedendosi spesso cosa si prova nelle esperienze che si vivono nella propria quotidianità (ad esempio: “Cosa ho provato quando quella persona mi ha risposto in quel modo? Mi sono sentito ferito/a o deluso/a?”). Questo è un buon modo per iniziare a familiarizzare con le emozioni che si vivono;

– Confrontandosi con gli altri rispetto alle reciproche esperienze che si vivono. Il dialogo, infatti, è sempre un’ottima risorsa per ampliare le proprie vedute sia su di sé che sugli altri e per scoprire elementi nuovi del mondo interiore personale e altrui.

Ovviamente questo “lavoro” di costante ascolto di sé, degli altri e di come ci si sente in rapporto a se stessi e nei rapporti con le altre persone non è affatto facile!

È per questo che ci si può rivolgere allo psicologo! Perché egli è una figura che sostiene e indirizza nello sviluppo di questa complessa capacità di ascolto e, insieme al paziente, partecipa alla “co-costruzione di un repertorio più ricco e flessibile […]” (Lambruschi, 2017, p. 51) di modi di vivere le proprie esperienze e le relazioni con gli altri!
Più questo repertorio si amplia e meno ci sarà bisogno di ricorrere all’autolesionismo di fronte alle difficoltà che attraversano le nostre vite!

Riferimenti bibiliografici

Albasi C. (2005), Modelli operativi interni dissociati, ovvero che cosa succede quando non viene
riconosciuta la specificità, in Ricerca Psicoanalitica, XVI, pp. 331-354;

Comelli F. (2014), Il corpo oggetto della colpa primaria, in Ricerca psicoanalitica, XXV, 2, pp. 47-69;

Freud S. (1917-23), L’Io e L’Es e altri scritti, in Opere vol. 9, Bollati Boringhieri, Torino;

Lacan J. (1966), Écrits, Paris, Éditions du Seuil, Parigi, (trad. it. Scritti, Enaudi, Torino, 2002);

Lambruschi F. (2017), La funzione conoscitiva del sintomo, in Ricerca Psicoanalitica, XXVIII, 3, Franco Angeli, Milano;

Lemma A. (2011), Sotto la pelle. Psicoanalisi delle modificazioni corporee, Raffaello Cortina, Milano;

Maggiolini A., Pietropolli Charmet G. (a cura di) (2008), Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti, Franco Angeli, Milano;

Rossi Monti M., D’Agostino A. (2009), L’autolesionismo, Carocci Editore, Roma;

Winnicott D.W. (1992), Primitive Emotional Development, in Through Pediatrics to Psycho-Analysis. Collected Paper, Routledge, London, pp. 357-368;

Winnicott D.W. (1996), Esplorazioni Psicoanalitiche, Cortina, Milano.

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